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L'ABOLIZIONE DELLE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI: TRA SOGNO E REALTA'

Il sol pensare che in tempi non remoti, la schiavitù era regolamentata e praticata in diversi paesi del mondo, suscita, inevitabilmente, perplessità e sgomento. Difatti, tra il XVI e il XIX secolo milioni di africani venivano catturati da mercenari senza scrupoli e strappati via dai loro villaggi nativi. Una volta ridotti in schiavitù ed ammassati in condizioni disumane nelle stive luride e soffocanti delle migliaia di navi salpanti, venivano trasportati nei paesi del continente americano. I loro corpi cosparsi d’olio ed esposti al pubblico come oggetti in vetrina, venivano venduti al miglior offerente per essere destinati agli estenuanti lavori delle piantagioni di cotone o caffè.

Col passare del tempo, le coscienze cominciarono a ribellarsi ai soprusi perpetrati dai latifondisti del sud, il buon senso e la ragione divennero principi guida per la nascita del tanto sospirato provvedimento costituzionale varato nel 1865 e finalizzato ad abbattere il muro della discriminazione razziale. L’approvazione del XIII emendamento della Costituzione Americana costituì per le popolazioni americane l’inizio di un nuovo movimento di pensiero sociale e culturale, secondo cui “né la schiavitù né il servizio non volontario potranno esistere negli Stati Uniti o in qualsiasi luogo sottoposto alla loro giurisdizione”. A distanza di anni, ci si chiede come il genere umano abbia potuto spingersi a compiere gesti di così estrema brutalità, sovvertivi della libertà e di qualsiasi altro diritto umano. Diversi uomini dall’animo nobile dedicarono gran parte della loro esistenza affinché l’abolizione delle differenze di colore non fosse soltanto una mera utopia. Martin Luther King, fu, senz’altro, uno di questi. Il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington al termine di una marcia di protesta per i diritti civili degli afroamericani, tenne un discorso memorabile, che, ancor oggi, vive nel ricordo di molti. Egli pronunciò una frase tanto breve, quanto piena di speranza: “I have a dream”. Se potesse ascoltarci, saremmo fieri di comunicargli che, in parte, quel sogno è diventato realtà. Ebbene sì, “in parte”, perché nel XXI secolo assistiamo ancora a comportamenti lesivi della dignità dell’uomo e restrittivi della libertà.

È opinione certa che, nessuno, uomo o donna che sia, potrà mai essere privato della libertà, il bene che più di qualunque altro consente di esternare le essenze della vita.

Tutti noi dovremmo coltivare con passione quel “sogno”, perché nulla di quello che è stato venga dimenticato e ripetuto, perché il sacrificio di milioni di persone che si sono battute per una giusta e valorosa causa non rimanga avvolto in un velo di oscurità e silenzio.

Domenico Attanasio

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